IL SALE SULLA CODA

Mi sarebbe piaciuto avere le nonne e i nonni. Quelli classici, quelli che portano i nipotini al parco, alle giostre, a danza, a calcetto. Che li viziano, che rappresentano il loro rifugio emozionale, sempre e comunque. Che ispirano fiducia, abbracci rassicuranti e baci di conforto e complicità.
Io non li ho più da un tempo infinito. Dei due nonni conosco solo il nome e il viso su una foto. Le nonne, invece le ricordo bene, perchè hanno fatto parte della mia vita per un periodo di tempo molto più lungo.
Mia nonna paterna, era una donna abituata a vivere in una famiglia di stampo dittatoriale, in un paese dalla vita altrettanto dittatoriale. Abituata a stare in silenzio e ad intervenire solo nel tentativo di provare ad essere severa, senza avere neanche l'ombra della la fisicità e dello sguardo che una nonna severa richiedeva. Anzi. Mi ricordo la dolcezza complice del suo sorriso, quando mi dava un colpetto sul braccio e passava le caramelle dalla sua mano alla mia, quasi fosse  qualcosa di proibito o un segreto fra di noi.
Mia nonna materna, invece, è quella che ricordo di più  e pensare a lei mi rende triste. Perchè c'era solo quando serviva a qualcuno, tranne che a noi. Messa di fronte a fatti compiuti da altri, imposti da altri.  Forse non ha avuto la forza  necessaria per ribellarsi a scelte non sue, o per credere di poter essere un punto di riferimento fondamentale per i suoi nipoti.  Probabilmente la rassegnazione per lei è stato il male minore.  Perchè la vita l'aveva già bastonata fin troppo portandole via una figlia, dopo averne condiviso attimo dopo attimo la sofferenza e l'agonia.
Io me la ricordo, mia nonna, al capezzale di mia madre; me la ricordo quando le reggeva la testa china su di una bacinella; quando imboccava mio fratello sul seggiolone; quando mi diceva che, per non far volare via un uccellino, avrei dovuto mettergli il sale sulla coda. E io ci cascavo. Ogni volta.
Me la ricordo nei successivi,  pochi anni  di frequentazione, quando andavo a fare i compiti a casa sua, dopo la scuola e poi me la ricordo sempre meno, quasi come se avessimo silenziosamente scelto di escluderci l'una dalla vita dell'altra. Forse per proteggerci da altre separazioni, altri dolori, altra ingiusta sofferenza.
E me la ricordo molto bene, l'ultima volta che io mia sorella Barbara e mio fratello Alessandro l'abbiamo vista, poco prima che morisse. Ricordo come se fosse ieri che, nell'unico momento di lucidità di quel giorno, ha guardato mio fratello è ha detto: "ha gli occhi della mamma", perchè era l'unico che aveva riconosciuto, com'era giusto che fosse; perchè sono sempre stata convinta che la sua tenerezza e il suo amore per quel bimbo, che non avrebbe mai conosciuto e ricordato sua madre, erano tanto grandi, quanto il senso di impotenza per non riuscire ad essere la nonna che avrebbe voluto essere.  Quando è morta, non ho provato un grande dolore. Ma un grande dispiacere si. Perchè sarebbe potuto andare tutto diversamente, se le nostre volontà avessero avuto gli stessi desideri e gli stessi obiettivi.  Se non avessimo fatto finta di non aver bisogno l'una dell'altra. Se non ci fossimo abbandonate a vicenda. Vorrei ricordarla  mentre mi guarda affrontare la vita; camminarci dentro, con la sua mano pronta ad afferrare la mia, con la sua voce che mi insegna i proverbi in dialetto, con i suoi occhi che mi trasmettono la saggezza che solo un dolore immenso può insegnare. Vorrei avere la consapevolezza che gran parte di quello che sono lo devo a lei. Invece, ho l'orgogliosa consapevolezza che quello che sono lo devo solo a me stessa. E conservo per lei un pizzico di nostalgica tenerezza, ogni volta che tento di mettere il sale sulla coda di un uccellino. Per non far volare via nessuno dei due.













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