Carmelita, detta Titti, è la prima di noi fratelli d'Urso. Io sono la seconda, in ordine di nascita. Io e Titti abbiamo vissuto insieme per 18 anni, i suoi e 15, i miei. Anni in cui abbiamo cercato di restare a galla sull'onda anomala che ci aveva investite, come meglio abbiamo potuto; con la costante consapevolezza che le nostre vite erano state e sarebbero state decise dalle vite di altri, che ci amassero o meno, che li amassimo o meno.
Non ricordo che abbiamo mai parlato del dolore che ci aveva travolte. Nessuno ci aveva insegnato a farlo, perchè nessuno ci aveva preparate ad affrontarlo. E' stato tutto così velocemente devastante, che ognuna delle due ha cercato un modo per sopravvivere a quella fretta di eventi successivi, sperando che fosse possibile lenire il dolore e far sparire quel senso di abbandono che non ci lasciava mai; subdolo, strisciante, mascherato da domeniche al cinema, lezioni di pianoforte, alberi di Natale altissimi e armadi pieni di giocattoli e vestiti.
Siamo cresciute distanti l'una dall'altra, pur abitando nella stessa casa. I miei occhi e il mio cuore la vedevano crescere giorno dopo giorno, anno dopo anno. Lontana, totalmente diversa da me. Percepivo la sua profonda insofferenza nel non poter scegliere il percorso di vita che desiderava e, più passava il tempo, più capivo che l'avrei persa. Ero gelosa di tutto e tutti; delle sue amiche, dei suoi corteggiatori, dei suoi fidanzatini; di chiunque potesse portarmi via anche lei; perchè io avevo ancora bisogno che mi tenesse per mano, mentre lei aveva già capito che, se si può, si ha il diritto e il dovere di scegliere e di seguire i propri sogni.
Un giorno sono tornata da scuola e non l'ho più trovata. Era diventata maggiorenne e aveva scelto.
I quattro anni successivi sono stati confusi, malinconici, sconfortanti; ma, nonostante l'imposizione paterna di trattare l'argomento figlia maggiore come se fosse morta, non mi è mai passato per la testa l'idea di escluderla dalla mia vita. Non si esclude il proprio sangue. Se si può, si fa di tutto perchè torni a scorrere vicino al nostro, in modo da poterne percepirne il pulsare, dovunque e comunque.
Ed è così che, il giorno dei miei 18 anni, ho chiesto a mio padre, come regalo, di incontrarla, per far sì che il sangue di sua figlia tornasse a scorrere vicino al suo. E' stato il mio traguardo migliore, insieme all'aver capito che quello che io avevo vissuto come un atto di egoistico abbandono, in realtà era l'unico modo a disposizione di mia sorella, per salvarsi da una vita con troppe incognite, nessuna delle quali avrebbe rispettato il suo legittimo desiderio di scegliere la propria strada.
Ed è così che, pian piano, abbiamo ricostruito la nostra famiglia, fatta di fratelli, sorelle, figli e nipoti. Attraverso modi, tempi e gesti, a volte visibili al mondo intero, a volte percepibili solo da noi due; lasciando fuori il più possibile il dolore e dando il giusto spazio alla nostalgia dei ricordi più belli.
Nel corso di questi cinquant'anni, ci siamo incontrate, scontrate, allontanate, avvicinate. Abbiamo affrontato tante onde anomale, insieme o a distanza. E ogni volta siamo rimaste a galla. Ritrovandoci, senza mai esserci perse.
Siamo molto diverse, io e mia sorella. Siamo due pianeti completamente differenti l'uno dall'altro per forma e colore, ma molto simili per luminosità. Certo, ogni tanto abbiamo scelto di percorrere ognuno la propria via lattea, ma alla fine siamo sempre tornati a viaggiare paralleli.
Sono molto fiera di lei; della donna che è diventata, con coraggio, determinazione e spirito di sacrificio. Sono fiera del suo indiscutibile e meritato successo, come madre e come professionista.
E sono fiera di noi, due pianeti con lo stesso forte dna a prova di vita. Due pianeti che, dopo cinquant'anni e tutto lo spazio dell'universo, viaggiano ancora paralleli, tenendosi di nuovo per mano.
Non ricordo che abbiamo mai parlato del dolore che ci aveva travolte. Nessuno ci aveva insegnato a farlo, perchè nessuno ci aveva preparate ad affrontarlo. E' stato tutto così velocemente devastante, che ognuna delle due ha cercato un modo per sopravvivere a quella fretta di eventi successivi, sperando che fosse possibile lenire il dolore e far sparire quel senso di abbandono che non ci lasciava mai; subdolo, strisciante, mascherato da domeniche al cinema, lezioni di pianoforte, alberi di Natale altissimi e armadi pieni di giocattoli e vestiti.
Siamo cresciute distanti l'una dall'altra, pur abitando nella stessa casa. I miei occhi e il mio cuore la vedevano crescere giorno dopo giorno, anno dopo anno. Lontana, totalmente diversa da me. Percepivo la sua profonda insofferenza nel non poter scegliere il percorso di vita che desiderava e, più passava il tempo, più capivo che l'avrei persa. Ero gelosa di tutto e tutti; delle sue amiche, dei suoi corteggiatori, dei suoi fidanzatini; di chiunque potesse portarmi via anche lei; perchè io avevo ancora bisogno che mi tenesse per mano, mentre lei aveva già capito che, se si può, si ha il diritto e il dovere di scegliere e di seguire i propri sogni.
Un giorno sono tornata da scuola e non l'ho più trovata. Era diventata maggiorenne e aveva scelto.
I quattro anni successivi sono stati confusi, malinconici, sconfortanti; ma, nonostante l'imposizione paterna di trattare l'argomento figlia maggiore come se fosse morta, non mi è mai passato per la testa l'idea di escluderla dalla mia vita. Non si esclude il proprio sangue. Se si può, si fa di tutto perchè torni a scorrere vicino al nostro, in modo da poterne percepirne il pulsare, dovunque e comunque.
Ed è così che, il giorno dei miei 18 anni, ho chiesto a mio padre, come regalo, di incontrarla, per far sì che il sangue di sua figlia tornasse a scorrere vicino al suo. E' stato il mio traguardo migliore, insieme all'aver capito che quello che io avevo vissuto come un atto di egoistico abbandono, in realtà era l'unico modo a disposizione di mia sorella, per salvarsi da una vita con troppe incognite, nessuna delle quali avrebbe rispettato il suo legittimo desiderio di scegliere la propria strada.
Ed è così che, pian piano, abbiamo ricostruito la nostra famiglia, fatta di fratelli, sorelle, figli e nipoti. Attraverso modi, tempi e gesti, a volte visibili al mondo intero, a volte percepibili solo da noi due; lasciando fuori il più possibile il dolore e dando il giusto spazio alla nostalgia dei ricordi più belli.
Nel corso di questi cinquant'anni, ci siamo incontrate, scontrate, allontanate, avvicinate. Abbiamo affrontato tante onde anomale, insieme o a distanza. E ogni volta siamo rimaste a galla. Ritrovandoci, senza mai esserci perse.
Siamo molto diverse, io e mia sorella. Siamo due pianeti completamente differenti l'uno dall'altro per forma e colore, ma molto simili per luminosità. Certo, ogni tanto abbiamo scelto di percorrere ognuno la propria via lattea, ma alla fine siamo sempre tornati a viaggiare paralleli.
Sono molto fiera di lei; della donna che è diventata, con coraggio, determinazione e spirito di sacrificio. Sono fiera del suo indiscutibile e meritato successo, come madre e come professionista.
E sono fiera di noi, due pianeti con lo stesso forte dna a prova di vita. Due pianeti che, dopo cinquant'anni e tutto lo spazio dell'universo, viaggiano ancora paralleli, tenendosi di nuovo per mano.
E' proprio vero che le emozioni sono i pensieri del cuore....e tu cara Dany hai il dono di trasferirle dalle parole che scrivi direttamente nei nostri cuori....grazie davvero.
RispondiEliminaLa parte che mi ha colpito di più è stata quella di quando sei tornata a casa e non l'hai trovata... siete state lontane ma sempre unite con il cuore ❤️❤️❤️
RispondiEliminaAttraverso le due parole arrivano tt le emozioni che si possono provare 😃
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