Non so se in questi giorni ho la capacità di scrivere qualcosa che si avvicini al mio stato d'animo. E che riesca a soddisfare me stessa e chi mi legge. Ma ci provo, perchè è il mio modo per essere partecipe di qualcosa troppo più grande di me, di tutti. Qualcosa che, fino a meno di un mese fa era assolutamente immaginifico e, con troppo poco preavviso, è diventato drammaticamente reale. Qualcosa a cui nessuno di noi era ed è minimamente preparato ad affrontare. Qualcosa che, immagino, possa avvicinarsi solo alla memoria storica degli anziani. Quelli al momento meno avvicinabili, perchè più a rischio. Quelli da cui ascoltare storie di paura, coraggio e solidarietà. Quelli che non avevano a disposizione la tecnologia di oggi per comunicare, e che hanno vissuto e sono sopravvissuti, solo grazie all'istinto e alla speranza.
Per questo non sopporto la tecnologia, quando diventa prepotenza e invade la mia privacy, con catene virtuali di video e audio orribili, che dovrebbero essere legittimamente ironici, ma che di legittimo hanno solo l'incolpevole rima fra" ironia" e "pandemia".
Mentre, invece, apprezzo i video di chi l'ironia la sa fare. Quella piacevole. Quella fatta di ingegno, fantasia, genialità.
Vi dirò, a costo di essere impopolare, che quando vedo o sento cantare dai balconi e dalle finestre, non mi sento particolarmente solidale. No. Ma mi sento molto solidale rispettando le regole e l'enorme sacrificio che ci impongono.
E vi dirò anche, che, pur non essendo di indole violenta, prenderei a schiaffoni, di quelli che fanno tanto male, tutte le teste di cazzo che ancora vanno a fare i picnic, o corrono, o pedalano, senza nessuna protezione e senza rispettare la distanza di sicurezza; affette da superbia, o presunzione, o entrambe. Che sfidano la sorte, senza un minimo di considerazione per chi, invece, la sorte la rispetta.
So che mi perdonerete per la confusione con la quale ho scritto parole e stati d'animo in libertà. In genere sono più precisa ed accurata nell'esposizione dei mie pensieri, ma oggi ho deciso di seguirla, questa confusione. E di omaggiarla in qualche modo. Perchè è così che sto vivendo. Alternando momenti di ansia per quello che so, ma soprattutto per quello che non so, a momenti di insofferenza dovuta alla clausura forzata, a momenti di preoccupazione per la mia famiglia che si trova ovunque, tranne che fisicamente vicina a me, a momenti di solitudine così profonda, da dovermi guardare allo specchio per avere l'illusione di essere in due.
Lo scenario che mi si apre ogni mattina, è troppo silenzioso, per me che non amo il silenzio e che sono una persona tutt'altro che silente. Io amo il rumore, a volte anche quello stridulo, fastidioso, purchè ci sia. Perchè è la vita che fa rumore. E' la vita che, con la sua prepotenza, ha sempre deciso quanto rumore fare. Quando farlo, dove farlo e per chi farlo.
E in questi giorni, l'unico rumore che sento è quello dei miei tanti pensieri, ai quali non riesco più a dare la giusta direzione. In questi giorni, quello che mi manca di più, che mi toglie la lucidità e la visione chiara del futuro, è l'assenza, quasi totale, del rumore della vita. Una vita che sta camminando rasente i muri, in silenzio, retrocessa dal ruolo di maestra a quello di allieva. Una vita in castigo, che mi lascia ogni giorno più sola con il mio rumore, silenziosamente assordante.
Per questo non sopporto la tecnologia, quando diventa prepotenza e invade la mia privacy, con catene virtuali di video e audio orribili, che dovrebbero essere legittimamente ironici, ma che di legittimo hanno solo l'incolpevole rima fra" ironia" e "pandemia".
Mentre, invece, apprezzo i video di chi l'ironia la sa fare. Quella piacevole. Quella fatta di ingegno, fantasia, genialità.
Vi dirò, a costo di essere impopolare, che quando vedo o sento cantare dai balconi e dalle finestre, non mi sento particolarmente solidale. No. Ma mi sento molto solidale rispettando le regole e l'enorme sacrificio che ci impongono.
E vi dirò anche, che, pur non essendo di indole violenta, prenderei a schiaffoni, di quelli che fanno tanto male, tutte le teste di cazzo che ancora vanno a fare i picnic, o corrono, o pedalano, senza nessuna protezione e senza rispettare la distanza di sicurezza; affette da superbia, o presunzione, o entrambe. Che sfidano la sorte, senza un minimo di considerazione per chi, invece, la sorte la rispetta.
So che mi perdonerete per la confusione con la quale ho scritto parole e stati d'animo in libertà. In genere sono più precisa ed accurata nell'esposizione dei mie pensieri, ma oggi ho deciso di seguirla, questa confusione. E di omaggiarla in qualche modo. Perchè è così che sto vivendo. Alternando momenti di ansia per quello che so, ma soprattutto per quello che non so, a momenti di insofferenza dovuta alla clausura forzata, a momenti di preoccupazione per la mia famiglia che si trova ovunque, tranne che fisicamente vicina a me, a momenti di solitudine così profonda, da dovermi guardare allo specchio per avere l'illusione di essere in due.
Lo scenario che mi si apre ogni mattina, è troppo silenzioso, per me che non amo il silenzio e che sono una persona tutt'altro che silente. Io amo il rumore, a volte anche quello stridulo, fastidioso, purchè ci sia. Perchè è la vita che fa rumore. E' la vita che, con la sua prepotenza, ha sempre deciso quanto rumore fare. Quando farlo, dove farlo e per chi farlo.
E in questi giorni, l'unico rumore che sento è quello dei miei tanti pensieri, ai quali non riesco più a dare la giusta direzione. In questi giorni, quello che mi manca di più, che mi toglie la lucidità e la visione chiara del futuro, è l'assenza, quasi totale, del rumore della vita. Una vita che sta camminando rasente i muri, in silenzio, retrocessa dal ruolo di maestra a quello di allieva. Una vita in castigo, che mi lascia ogni giorno più sola con il mio rumore, silenziosamente assordante.
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