Assurdo, irreale, incredibile. Al drammatico periodo che tutto il mondo sta vivendo, si possono affibbiare gli aggettivi più disparati. Ma, in fondo, l'unico appropriato è: reale. E' tutto assurdamente, irrealmente, incredibilmente reale. Come quello di tutti, i mio presente è fermo e il mio futuro è un gigantesco punto di domanda. Quindi, l'unica certezza che mi resta, è quella del mio passato. Ed è su quello che, al momento lavoro; per capire sempre di più il presente in cui mi ha portato e il futuro in cui voglio che mi porti.
E, giocoforza, in questo tempo così lungo e lento da passare, ho deciso di aprire la porta ai ricordi, ancora prima di sentirli bussare. E, ovviamente, nessuno di loro si è fatto pregare per entrare.
Alcuni, anche se sono ancora dolorosi, mi sorprendono per la loro nitidezza nel raccontarmi tanti dettagli di colori, odori e sapori. Uno di questi ricordi, forse il più nitido, o forse solo il più dolorosamente presente, è la camera da letto in cui, fino al 1969, dormivamo io, mia sorella Titti e mio fratello Alessandro, allora piccolissimo.
Ed è un ricordo così forte, così lucido, che a volte quasi mi spaventa. Perchè so che non riuscirò mai a non aprirgli la porta, ogni volta che sarà così egoista da voler entrare. Se chiudo gli occhi, rivedo i due letti singoli, disposti ad elle; la culla di legno chiaro al centro della stanza; la brandina blu in cui dormiva la nonna, durante gli anni di malattia di nostra madre. Rivedo le pareti rivestite per metà da stecche di legno scuro, a mo' di parato e il balcone, con le saracinesche verde scuro.
Credo sia uno dei pochissimi ricordi che io e mia sorella condividiamo; quasi sempre con tenerezza, a volte con un dolore che solo noi due possiamo capire e che ci consente solo un attimo di commozione, per evitare di doverci medicare la stessa ferita ogni volta. Perchè tutte e due sappiamo bene che i ricordi stanno dove noi li lasciamo, senza abbandonarli mai. Stanno lì e ci guardano, aspettando di entrare in più cuori contemporaneamente, così da uscirne sempre soddisfatti.
Oggi ho aggiunto dei dettagli fondamentali a questo ricordo. Sono arrivati così, all'improvviso, con la solita, sorprendente, nitidezza: una domenica, nostro padre, o chi a turno ne faceva le veci, ci portò alla Mostra d'Oltremare. Me, Titti e la sua bambola Giulietta, che camminavamo mano nella mano, con le nostre fasce nei capelli, abbinate ai vestitini della domenica. Ricordo che eravamo sedute sul bordo di una delle vasche piene d'acqua che c'erano all'interno; ricordo che la bambola Giulietta è caduta in acqua; ricordo la disperazione di mia sorella, più che altro per la punizione che avrebbe ricevuto da chissà chi, qualora mamma non fosse stata abbastanza in forze per scegliere fra cucchiaio di legno e battipanni. Ma quello che ricordo, che io e mia sorella ricordiamo da sempre, è la filastrocca inventata per l'occasione, che diceva: "Giulietta, Giulietta del Mississipì, non far la pipì lì, ma......." .
E qui mi fermo, perchè, da sempre, abbiamo due versioni del finale diverse. Di pochissimo, ma diverse. E che non svelerò mai. Perchè, in realtà, voglio che il ricordo resti così com'è: con i letti ad elle, le stecche di legno scuro sulle pareti, la culla al centro della stanza e la brandina della nonna, testimone dell'unica, dolorosa forma di protezione di quei terribili tre anni. E soprattutto due sorelle, con i vestitini della domenica e le fasce nei capelli, che camminano mano nella mano e, ridacchiando, sussurrano una filastrocca inventata. La nostra.
E, giocoforza, in questo tempo così lungo e lento da passare, ho deciso di aprire la porta ai ricordi, ancora prima di sentirli bussare. E, ovviamente, nessuno di loro si è fatto pregare per entrare.
Alcuni, anche se sono ancora dolorosi, mi sorprendono per la loro nitidezza nel raccontarmi tanti dettagli di colori, odori e sapori. Uno di questi ricordi, forse il più nitido, o forse solo il più dolorosamente presente, è la camera da letto in cui, fino al 1969, dormivamo io, mia sorella Titti e mio fratello Alessandro, allora piccolissimo.
Ed è un ricordo così forte, così lucido, che a volte quasi mi spaventa. Perchè so che non riuscirò mai a non aprirgli la porta, ogni volta che sarà così egoista da voler entrare. Se chiudo gli occhi, rivedo i due letti singoli, disposti ad elle; la culla di legno chiaro al centro della stanza; la brandina blu in cui dormiva la nonna, durante gli anni di malattia di nostra madre. Rivedo le pareti rivestite per metà da stecche di legno scuro, a mo' di parato e il balcone, con le saracinesche verde scuro.
Credo sia uno dei pochissimi ricordi che io e mia sorella condividiamo; quasi sempre con tenerezza, a volte con un dolore che solo noi due possiamo capire e che ci consente solo un attimo di commozione, per evitare di doverci medicare la stessa ferita ogni volta. Perchè tutte e due sappiamo bene che i ricordi stanno dove noi li lasciamo, senza abbandonarli mai. Stanno lì e ci guardano, aspettando di entrare in più cuori contemporaneamente, così da uscirne sempre soddisfatti.
Oggi ho aggiunto dei dettagli fondamentali a questo ricordo. Sono arrivati così, all'improvviso, con la solita, sorprendente, nitidezza: una domenica, nostro padre, o chi a turno ne faceva le veci, ci portò alla Mostra d'Oltremare. Me, Titti e la sua bambola Giulietta, che camminavamo mano nella mano, con le nostre fasce nei capelli, abbinate ai vestitini della domenica. Ricordo che eravamo sedute sul bordo di una delle vasche piene d'acqua che c'erano all'interno; ricordo che la bambola Giulietta è caduta in acqua; ricordo la disperazione di mia sorella, più che altro per la punizione che avrebbe ricevuto da chissà chi, qualora mamma non fosse stata abbastanza in forze per scegliere fra cucchiaio di legno e battipanni. Ma quello che ricordo, che io e mia sorella ricordiamo da sempre, è la filastrocca inventata per l'occasione, che diceva: "Giulietta, Giulietta del Mississipì, non far la pipì lì, ma......." .
E qui mi fermo, perchè, da sempre, abbiamo due versioni del finale diverse. Di pochissimo, ma diverse. E che non svelerò mai. Perchè, in realtà, voglio che il ricordo resti così com'è: con i letti ad elle, le stecche di legno scuro sulle pareti, la culla al centro della stanza e la brandina della nonna, testimone dell'unica, dolorosa forma di protezione di quei terribili tre anni. E soprattutto due sorelle, con i vestitini della domenica e le fasce nei capelli, che camminano mano nella mano e, ridacchiando, sussurrano una filastrocca inventata. La nostra.
Complimenti ❤️❤️❤️
RispondiElimina❤️❤️❤️❤️
RispondiEliminaSempre bello leggere quello che scrivi, anche se alle volte sono ricordi molto dolorosi, ma non ostante questo riesci sempre a condividerli, e ogni volta mi commuovo.
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