Ogni volta che qualcuno mi chiede qual'è il mio miglior pregio, io rispondo: la sensibilità.
Perchè è vero, io sono una persona sensibile. Molto. Anche se, a volte, mi viene da pensare che questa mia sensibilità non derivi solo dalla genetica, ma che sia condivisa con altro o associata ad altro.
Un mio amico mi dice spesso che ho una mente molto analitica ed io ho sempre pensato che una spiccata sensibilità debba per forza essere in contrasto con la lucida analisi; perchè mentre la prima è assai irrazionale, la seconda è troppo logica.
Invece sto scoprendo che fare una lucida analisi sul mio essere sensibile, mi aiuta a capire quanto di me appartenga alla pura sensibilità e quanto sia imputabile ad altro.
Per esempio, ho capito che se la maggior parte della mia sensibilità è insita nel mio dna, la restante parte è imputabile dal mio primo, enorme e mai dimenticato trauma: la morte di mia madre.
E' da lì che viene la mia sindrome da abbandono, la mia avversione per l'ingiustizia, la mia ansia per il senso di impotenza di fronte al dolore e il mio terrore di non avere scelta.
Non è facile fare degli esempi che siano davvero esaustivi e che possano aiutare chi legge a mettersi nei miei panni; quindi cercherò di spiegarlo nel modo più semplice e chiaro possibile, perchè vorrei che venisse percepito nel modo più giusto possibile. Anche a costo di sembrare presuntuosa nel trattarvi come chi non capisce o non può capire e scusandomene preventivamente, ovemai così fosse.
La mia sensibilità mi fa paura. Ecco. Perchè, di fronte ad alcune cose che vedo e che sento, mi trasforma in una vigliacca. Mi fa chiudere gli occhi, mi fa tappare le orecchie, mi fa girare dall'altra parte. La mia sensibilità, si. Quella che ha affrontato e superato un'infinità di difficoltà, ingiustizie, dolori e tradimenti. Quella che ha lottato, amato e perdonato. Quella che, anche borbottando, ha teso più volte la mano a chi aveva bisogno di afferrarla. Quella che vi sta scrivendo, rischiando di essere insultata, derisa e, peggio ancora, non capita.
Io so perfettamente di non essere una vigliacca, anzi. Eppure, in alcune situazioni, lo divento e scappo.
Quando vedo in tv i bimbi malati, o gli anziani abbandonati, o gli animali maltrattati. Quando vedo uno zingarello a cui dei genitori ladri hanno insegnato ad essere ladro, magari a suon di botte. Quando butto la spazzatura e ho paura di sentire i lamenti di un cucciolo, di uomo o di animale, provenire da uno dei cassonetti. Quando sento il miagolio di un gatto o il guaito di un cane. Quando sento il pianto convulso e prolungato di un bambino. Io scappo. Perchè è come se io diventassi il grido di dolore di ognuno di loro. E questo grido mi entra nel cervello e nel cuore. Forte e chiaro. E mi fa paura. Perchè mi sento impotente di fronte a qualcosa di già accaduto, che non ho potuto impedire e che non so risolvere. Perchè aver salvato la mia gatta e aver aiutato qualche associazione non basta. So che sono dei palliativi per lenire la mia mancanza di coraggio nel fare di più. E, siccome la mia coscienza non se ne fa nulla dei piccoli gesti palliativi, per sentirsi più pulita cerca di farmi sentire una merda, prendendo a calci la mia sensibilità, perchè trasformi il mio senso di impotenza in sindrome da crocerossina. E ho paura.
Ho paura perchè torno con la mente alla bimba di otto anni, due giorni dopo la morte della mamma, la sera in cui è tornata a casa e, entrando di corsa nella sua camera, ha visto al posto del letto matrimoniale, due letti singoli, lontani l'uno dall'altro. E non c'era nessuno in nessuno dei due. E non c'era nessuno che gliene spiegasse il motivo. E non c'è mai stato nessuno che glielo abbia spiegato.
Ho paura perchè torno con la mente al senso di ingiustizia e di impotenza, per non aver potuto impedire alla mia famiglia di provare dolore. Per non averlo mai potuto condividere. Per non averlo mai potuto lenire, anche solo con una carezza o un bacio di addio. Rimanendo una bimba sola e spaventata, di fronte a qualcosa di troppo più grande di lei. Una bimba che avrebbe meritato un'eredità di gran lunga più affettuosa e affettiva della sindrome dell'abbandono, a fare da tatuaggio.
Ho paura ogni volta in cui i miei neuroni e le mie valvole cardiache, sono perfettamente sincronizzate su ricordi, pensieri e sensazioni e so di non avere scampo. Lo so. Ogni volta.
So che la mia sensibilità si trasformerà in senso di impotenza e in vigliaccheria. Per poi tornare, ogni volta, ad essere la solita sensibilità.
So che, anche se provo a respingerla, mi entrerà in testa una quantità enorme di immagini e di suoni. Di tutti quelli che che provano dolore. Del grido straziante di ognuno di loro.
E provo a scappare. Ogni volta. Chiudendo gli occhi e tappandomi le orecchie. E rimango un pò così Ogni volta. Finchè non passa. Finchè non ricomincio a respirare. Finchè non smetto di vedere e di sentire. Finchè, ogni volta, non arriva il momento in cui riesco ad aprire gli occhi e a togliere le mani dalle orecchie. E, ogni volta, mi rendo conto che rimane un solo grido. Il mio.
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