Da molti anni abito in un posto molto vicino ad un immenso parco. Mi ritengo fortunata perchè, per la prima volta nella mia vita, non sono la solita girovaga che un pò per necessità, un pò per la continua voglia di cambiare e ricominciare, non è mai stata ferma in un solo posto. Ormai sono quasi vent'anni che sono stanziale. E mi piace. Non vorrei abitare in nessun'altro posto, se non quello in cui sto, circondata da mura che sembrano sottilette, impianto elettrico non a norma e impianto idrico risalente all'inizio del secolo scorso. Esageratamente calda d'estate ed esageratamente fredda d'inverno. Ma con i soffitti alti, le travi di legno e i lucernari. Con i pavimenti antichi, un vialetto da film d'altri tempi e la vista sul parco. Quindi sto.
Anche perchè il parco è il mio rifugio, quando sento l'esigenza di camminare, di correre, di respirare. Entro dal solito cancello, con la musica nelle orecchie e cammino. Immaginando, fantasticando, riflettendo, sorridendo e a volte piangendo. Ieri, che non era proprio una di quelle giornate in cui ci si sveglia di buonumore, ho camminato e camminato e camminato, cercando di raccontarmi una delle mie storie preferite, in cui le cose belle prima o poi e per alcuni validissimi motivi, accadranno; perchè me le merito, perchè la ruota gira, perchè tutto torna. Oppure semplicemente perchè le desidero.
Ma non funzionava, perchè era proprio un momento di quelli brutti brutti brutti. Quelli fatti di evidenza, di logica e di istinto di sopravvivenza in serio pericolo. Uno di quei momenti in cui prevale la paura di cadere storta e non riuscire a rialzarmi ancora una volta.
Uscita dal parco, mentre tornavo verso casa, ho improvvisamente notato una signora di una certa età, che camminava davanti a me, piegata ad angolo retto e senza l'aiuto del bastone. Ho dovuto rallentare perchè il mio passo era veloce e il suo, naturalmente, no. All'inizio ho pensato di superarla, perchè non avevo nessuna voglia di avere a che fare di nuovo con il "c'è chi sta peggio". Non avevo nessuna voglia di pensare ai mali degli altri. Non avevo nessuna voglia di confrontarmi con un altro tipo di disagio, molto più tangibile del mio, quindi più facile da paragonare e compatire. Invece, spinta dall'istinto, mi sono avvicinata un pò di più, perchè volevo guardarla in faccia. Volevo vedere quanta sofferenza, tristezza, rabbia e rassegnazione ci fossero in quei lineamenti. E, mentre acceleravo il passo per raggiungerla, ho notato tutti i dettagli dell'abbigliamento. Era molto curata, con i capelli in ordine ed emanava un profumo di fiori delicatissimo, dal quale, per un istante, mi sono sentita completamente e piacevolmente avvolta. L'ho raggiunta e l'ho guardata in viso. E non ho visto sofferenza, nè tristezza, nè rabbia, nè rassegnazione. Ho visto normalità. E dignità. E mi sono sentita piccola piccola, perchè la realtà è che c'è chi cammina storto senza dover essere necessariamente caduto. Avrei voluto fermarla, guardarla negli occhi e magari rubarle un pò di quella dignità, per far smettere di vacillare la mia. E avrei anche voluto abbracciarla, con pari dignità e senza un briciolo di compassione, perchè sono certa che la sua testa è molto più alta di tanti occhi che guardano per terra.
Anche perchè il parco è il mio rifugio, quando sento l'esigenza di camminare, di correre, di respirare. Entro dal solito cancello, con la musica nelle orecchie e cammino. Immaginando, fantasticando, riflettendo, sorridendo e a volte piangendo. Ieri, che non era proprio una di quelle giornate in cui ci si sveglia di buonumore, ho camminato e camminato e camminato, cercando di raccontarmi una delle mie storie preferite, in cui le cose belle prima o poi e per alcuni validissimi motivi, accadranno; perchè me le merito, perchè la ruota gira, perchè tutto torna. Oppure semplicemente perchè le desidero.
Ma non funzionava, perchè era proprio un momento di quelli brutti brutti brutti. Quelli fatti di evidenza, di logica e di istinto di sopravvivenza in serio pericolo. Uno di quei momenti in cui prevale la paura di cadere storta e non riuscire a rialzarmi ancora una volta.
Uscita dal parco, mentre tornavo verso casa, ho improvvisamente notato una signora di una certa età, che camminava davanti a me, piegata ad angolo retto e senza l'aiuto del bastone. Ho dovuto rallentare perchè il mio passo era veloce e il suo, naturalmente, no. All'inizio ho pensato di superarla, perchè non avevo nessuna voglia di avere a che fare di nuovo con il "c'è chi sta peggio". Non avevo nessuna voglia di pensare ai mali degli altri. Non avevo nessuna voglia di confrontarmi con un altro tipo di disagio, molto più tangibile del mio, quindi più facile da paragonare e compatire. Invece, spinta dall'istinto, mi sono avvicinata un pò di più, perchè volevo guardarla in faccia. Volevo vedere quanta sofferenza, tristezza, rabbia e rassegnazione ci fossero in quei lineamenti. E, mentre acceleravo il passo per raggiungerla, ho notato tutti i dettagli dell'abbigliamento. Era molto curata, con i capelli in ordine ed emanava un profumo di fiori delicatissimo, dal quale, per un istante, mi sono sentita completamente e piacevolmente avvolta. L'ho raggiunta e l'ho guardata in viso. E non ho visto sofferenza, nè tristezza, nè rabbia, nè rassegnazione. Ho visto normalità. E dignità. E mi sono sentita piccola piccola, perchè la realtà è che c'è chi cammina storto senza dover essere necessariamente caduto. Avrei voluto fermarla, guardarla negli occhi e magari rubarle un pò di quella dignità, per far smettere di vacillare la mia. E avrei anche voluto abbracciarla, con pari dignità e senza un briciolo di compassione, perchè sono certa che la sua testa è molto più alta di tanti occhi che guardano per terra.
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