LA TERRAZZA MAGICA

L'attico  di Corso Vittorio Emanuele, a Napoli, era molto grande e molto bello. Pretenzioso quanto bastava nel voler ospitare una famiglia felice. Presuntoso quanto bastava per illudersi che fosse così. In quella casa, nel 1969, ci siamo entrati portandoci dietro il dolore, insieme agli scatoloni e alle valigie. Un dolore lacerante, costante, incollato addosso. Che nessuno ci ha mai insegnato a condividere e meno che mai a superare.
Forse per questo la parte che preferivo era l'enorme terrazza che sovrastava tutta la casa. Ho sempre pensato che fosse un posto un pò magico. Un posto dove poter stare con la faccia al sole, respirando tutta l'aria che i miei polmoni di bambina riuscivano ad incamerare. La mia cambusa per poter  rientrare fra le pareti di quella casa, così grande e così bella e così piena di pesantissimi fardelli, ammucchiati in ogni angolo.
Se chiudo gli occhi sono là. Salgo le scale di ferro, con la pittura bianca un pò scrostata e sono là. E mi vedo.   Mi vedo dentro il grillage costruito da mio padre, mentre giro intorno al tavolo, cantando "Tutta mia la città". E poi vedo me e Titti che, con le ruote delle biciclette bagnate, disegnamo un otto sul pavimento, cantando. Vedo me e Titti che giochiamo alla "campana", disegnata con i gessetti colorati. Vedo me e Titti che facciamo la gara con i palloni ponpon. Vedo me e Titti sui pattini. Io che cado, piango e lei che mi da la mano e mi tira su.
E ad occhi chiusi, mi rendo conto che l'unica presenza che ricordo davvero in quella terrazza magica, è quella di mia sorella Carmelita, detta Titti.
Chissà, magari anche per lei quella terrazza era magica, non ce lo siamo mai dette e credo che non serva a nulla dirselo ora, ma mi piace pensare che lo fosse anche per lei. Che anche lei abbia respirato a pieni polmoni. Da sola o insieme a me. Mi piace pensare che anche lei chiuda gli occhi e sia lì, a ridere con me mentre disegnamo un otto sul pavimento. A giocare alla "campana". A fare la gara con i palloni ponpon. A tirarmi su mentre piango perchè sono caduta.
In tutti questi anni, ogni volta che sono stata a Napoli e sono passata davanti al portone a vetri del numero 26 di Corso Vittorio Emanuele, non sono mai riuscita a non guardarci dentro. Non sono mai riuscita a non alzare la testa per vedere i lampioni verde scuro agli angoli della mia terrazza magica. E ogni volta, ho guardato dentro e ho alzato la testa, spinta da qualcosa che ancora oggi non so come definire. Qualcosa che mi ha tenuta ancorata a quel posto e al mio passato per così tanto tempo, da diventare quasi un'infelice sicurezza. Qualcosa che, un po' alla volta, ho lasciato andare. Prima con dolore e poi con sollievo. Adesso, quando vado a Napoli e passo davanti a quel portone a vetri, mi capita ancora di alzare lo sguardo verso i lampioni della terrazza magica. Ma io non sono più là.
E' questa la vera magia.





















































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