Capita un pò a tutti di ripensare ogni tanto alla propria infanzia e all'eredità che ci ha lasciato.
C'è chi ha vissuto un'infanzia felice, piena di cose belle, che spesso fanno si che la bellezza diventi la normalità della vita di chi le ha godute. C'è chi ha vissuto un'infanzia infelice, piena di cose brutte, che spesso fanno si che la bruttezza diventi la normalità della vita di chi le ha subite.
C'è chi ha vissuto un'infanzia felice, piena di cose belle, che spesso fanno si che la bellezza diventi la normalità della vita di chi le ha godute. C'è chi ha vissuto un'infanzia infelice, piena di cose brutte, che spesso fanno si che la bruttezza diventi la normalità della vita di chi le ha subite.
E poi c'è chi ha vissuto un'infanzia come la mia che, nonostante la quasi totale assenza di cose belle, ho deciso di non far prevalere la bruttezza, impedendole di diventare la normalità della mia vita.
Ormai sapete bene che ogni tanto mi si apre il cassetto della memoria e, quando accade, mi diverto sempre un pò a scavare nel ricordo per carpirne qualche nuovo dettaglio. Però ci sono delle volte in cui, per sbaglio e all'improvviso mi si apre il cassetto dei traumi. E lì scavare e carpire diventa molto meno divertente, meno nostalgico, meno sentimentale, ma molto più complicato, più doloroso, più inevitabile. Come quando, all'improvviso, mi sono resa conto che non ho nessun ricordo di un genitore, un nonno o uno straccio di parente, anche di decimo grado, che mi abbia mai letto una favola. Di quelle classiche. Di quelle con il lieto fine. Di quelle che ti insegnano che il bene prevale sul male, ma che comunque prima di godere del bene, ti tocca vivere una vita d'inferno, strigliando pavimenti, ingurgitando veleno o rischiando di essere mangiata da un lupo che ti ha già divorato la nonna.
No. A casa mia, non si raccontavano favole. Più che altro si cantavano canzoncine o filastrocche che raccontavano storie, che però non avevano mai un lieto fine. Come quella di Pirulin, il bambino che piangeva. Anche se ci sono varie versioni di questa filastrocca, tutte finiscono inevitabilmente con un aereo che passa con su scritto "Pirulin stai zitto". Praticamente la mortificazione della creatura che piange e viene zittita non dai genitori, dai nonni o al limite dalla tata, ma da una scritta su di un aereo.
Oppure quella del re del Portogallo, che non sapendo ballare la samba e volendoci provare comunque, cade, si fa malissimo e tutta la corte, regina e principesse comprese (cioè la famiglia), invece di aiutarlo e portargli rispetto perchè comunque è il re, se ne fottono e gli ridono in faccia, mentre lui piange e urla dal dolore.
Devo dire che, per fortuna, in alternativa all'umana umiliazione dei personaggi che ho appena descritto, a casa mia, ogni tanto, si raccontavano anche storie inventate. Come quella di GLIK GLUK e GLAK. Tre marziani che venivano sulla terra a far cosa non lo so, perchè di quella storia raccontata a braccio, non ricordo nulla, se non un unica frase in napoletano: "Gesù, Giuseppe, Sant'Anna e Maria, aro' veneno chisti tre cosi?", che immagino fosse frutto dell'incontro fra umani e marziani, se non addirittura il finale della storia.
Ecco, questo è quello che è uscito stamattina, dal cassetto dei traumi. Uno stralcio di vita di una bambina, sensibile e piagnona come il povero Pirulin della filastrocca, che ha deciso di trasformare il trauma dell'assenza di tanti finali da favola, con la tenerezza per il ricordo di tre marziani, raccontati senza nessun lieto fine in programma, ma con tanta buona volontà e un pizzico di affetto.
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