LA MANO MOBILE

Ogni tanto mi piace riguardare una serie che mi è piaciuta particolarmente. E' uno dei miei momenti di relax, in cui non penso a nulla, se non alla piacevolezza di ciò che sto guardando o ascoltando. A volte, però, succede che un dettaglio mi colpisce talmente forte, da trasformarsi immediatamente in una riflessione profonda.
Per esempio, nel caso di "Desperate Houseives", ho sempre pensato che la protagonista della serie fosse la personalità di ognuna delle 5 amiche, così da dare  alle spettatrici la possibilità di identificarsi in ognuna di loro; cosa nè particolarmente nuova, nè particolarmente geniale.  Solo particolarmente intelligente.
Invece mi sono improvvisamente accorta che, in realtà, l'unica e sola protagonista della serie è la solidarietà. E non solo quella femminile, ma la solidarietà in genere. Qualcosa di talmente importante che, senza, il mondo fa fatica a girare come si deve. Un sentimento d'onore, diametralmente opposto al disonore dell'egoismo.
Non che l'egoista non sia solidale. Lo è, ma solo con gli egoisti come lui. Solidali l'un l'altro solo ed esclusivamente quando si tratta della reciproca, amorevole cura dei propri floridi orticelli. Un pò stile  famiglia del mulino bianco in quartiere residenziale. Non so a voi, ma a me fa tristezza. E tanta anche.
Ma  esiste di peggio. Esiste la categoria dei finti solidali. Quelli che parlano tanto proprio di solidarietà. Quelli che si vantano della beneficenza che fanno. Quelli che puntualmente donano un paio di euro dal proprio cellulare, senza neanche chiedersi  dove diavolo vanno a finire quei soldi, che sono tantissimi.  Perchè  tantissimi sono quelli che si sentono un pò più a posto facendo click sulla tastiera del cellulare, rispetto a quelli che fanno bagagli e vaccini e vanno a toccare con mano la disperazione.
Le mani dei finti solidali sono finte mani tese. Sono mani che, per un istante,  afferrano altre mani che chiedono aiuto e che dopo un pò si staccano dal braccio, tipo quelle dei manichini esposti nelle vetrine e  vestiti a festa. Io le vedo così quelle mani. Pompose, superbe, inutili.
Come sempre, ogni volta che scrivo, lo faccio in tutta onestà: io non dono gli euro col cellulare, perchè non mi fido. Non so i soldi raccolti che fine fanno. Non mi fido dei gestori telefonici, perchè non credo nel loro appoggio umanitario. Vedo spesso spot che sfruttano immagini di bambini sofferenti per far leva sulla sensibilità, più o meno vera, di milioni di persone; ma non ricordo di aver mai visto lo spot relativo all'inaugurazione di una scuola, un ospedale, una mensa o un acquedotto, realizzati con quella marea di soldi, il tutto regolarmente documentato e assolutamente dovuto a chi ha fatto quel click. Anche solo per sentirsi meglio, ma l'ha fatto.
E non vado neanche a toccare da vicino il dolore e la miseria.  Non sono in grado. Non sono in grado di vedere le persone che soffrono. Non sono in grado di misurarmi da vicino con  la disperazione. Sono una donna forte, ma non ho quel tipo di forza. Non più.
Forse anche io sono egoista, ma almeno non faccio finta di essere quella che non sono.
Io non ho un orticello recintato da filo spinato. Il mio orticello è sempre stato a disposizione di chiunque volesse piantarci  qualcosa di buono. E quando, nel mio piccolo e per quello che sono e posso, afferro una mano che chiede aiuto, la mia è una mano salda. Non è una mano mobile. Puoi contarne tutte le dita. Non una in più, non una in meno.  Non si stacca dal braccio. Nè dal cuore.



















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